Applicabilità delle Norme Giuridiche Alla Vita della Chiesa

   Se abbiamo ragione di estendere le caratteristiche del diritto (il suo carattere sociale-istituzionale, il suo affidamento alle sanzioni), il suo principio di giustizia sottostante, al diritto ecclesiastico, se le categorie giuridiche sono applicabili alla vita della Chiesa, in altre parole, si pone la questione dell’esistenza stessa del diritto ecclesiastico. Diverse circostanze fanno dubitare dell’applicabilità delle norme giuridiche alla vita della Chiesa.
   Sebbene dal punto di vista umano la Chiesa sia anch’essa una delle unioni sociali, si tratta di un’unione di tipo molto speciale, la cui natura e il cui scopo non si limitano all’orizzonte terreno. La sfera del diritto non include i motivi interiori delle azioni umane, e il Signore non ci ha forse insegnato a giudicare noi stessi non solo dalle nostre azioni, ma anche ad imputare a noi stessi i motivi più peccaminosi, i pensieri e i sentimenti peccaminosi insieme alle nostre azioni: “Chiunque guarda una donna con concupiscenza ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Matteo 5:28). E infine, c’è posto per le sanzioni, per la costrizione, nella Chiesa che è stata creata da Colui che “non spezzerà la canna rotta e non spegnerà il lino che fuma” (Isaia 42:3)?
   Queste perplessità sia nell’antichità che ai nostri giorni di teologi settari, dagli gnostici, montanisti, pavoniani, valdesi medievali, riformatori tedeschi come Agricola, fino ai più recenti studiosi protestanti: Hirsch, Ehlert, Althaus, hanno portato a conclusioni antinomiche affrettate. La tendenza antinomiana non è sfuggita al principale teologo ortodosso P. N. Afanasiev. Gli antinomiani sostengono che esiste una contraddizione interna tra il concetto di legge e la Chiesa cristiana, che la legge e la Chiesa sono incompatibili, che la “legge ecclesiastica” è un’assurdità, una “contradictio in adjecto”, perché la grazia del Nuovo Testamento esclude non solo la vecchia legge, ma anche qualsiasi legge.
   Questo non è ciò che il Signore stesso ci ha insegnato. Egli ha detto: “Non pensate che io sia venuto a infrangere la legge o i profeti; non sono venuto per infrangerla, ma per darvi compimento” (Matteo 5:17). In effetti, la legge morale basata sull’amore è un inizio incomparabilmente più importante della legge basata sulla giustizia. Tuttavia, la legge è anche un elemento essenziale del corpo della Chiesa. I rapporti reciproci tra i membri del corpo ecclesiale sono regolati non solo dalle motivazioni interiori e dai precetti morali delle persone, ma anche da norme generalmente vincolanti, la cui violazione comporta sanzioni, anche se sanzioni di natura molto speciale, che non coincidono con le sanzioni previste dalla legge statale.
   Anche la legge della Chiesa ha il carattere della coercizione, ma le misure di coercizione applicate dall’autorità ecclesiastica differiscono decisamente da quelle applicate dall’autorità statale. La Chiesa non è autorizzata dal suo Fondatore a coercire fisicamente, affidandosi alla forza materiale, di cui lo Stato può disporre.
   Un’altra caratteristica importante delle sanzioni ecclesiastiche è che anche le più dure sono applicate non solo per il mantenimento dell’ordine ecclesiastico, ma anche, e non meno, per il beneficio spirituale dello stesso trasgressore delle leggi ecclesiastiche. La legge secolare non trascura l’obiettivo di correggere il trasgressore; tuttavia, non dà priorità a questo obiettivo, procedendo in primo luogo dal compito di proteggere il benessere pubblico. La pena di morte prevista dai codici penali di alcuni Paesi dimostra chiaramente che la rettifica morale del reo non è sempre l’obiettivo della legge. Il Vangelo, tuttavia, ci insegna che ogni anima umana ha un valore infinito: “Che giova all’uomo se guadagna il mondo intero e perde la sua anima? Anche una punizione ecclesiastica così estrema come l’anatema è usata non solo per proteggere la pace della Chiesa, ma anche per indurre la persona anatemizzata a pentirsi, per aiutarla a “giungere alla conoscenza della verità”.
   L’esistenza nella Chiesa di leggi generalmente vincolanti, protette da sanzioni previste per i trasgressori, non è incompatibile con la libertà cristiana. Anche se una particolare punizione ecclesiastica ovviamente non sempre suscita il consenso interno della persona che la subisce, in ultima analisi la possibilità di applicare le leggi ecclesiastiche, comprese quelle punitive, poggia sul consenso volontario dei membri della Chiesa ad obbedire ad esse. Non c’è e non ci può essere alcuna costrizione ad aderire alla Chiesa, ma diventando un membro della Chiesa si è assunto l’obbligo di obbedire sia alle leggi divine sia a quelle leggi e regolamenti che appartengono alla sfera del diritto positivo della Chiesa, cioè sono il prodotto della legge della Chiesa, esercitata in virtù dell’autorità affidata alla Chiesa dal suo Fondatore. Inoltre, l’obbedienza a queste leggi ha il carattere di necessità esterna, perché è garantita dall’attività delle istituzioni ecclesiastiche, che hanno un potere spirituale, ma molto reale, e di necessità interna, perché senza la sottomissione alle leggi divine ed ecclesiastiche non si può ottenere la salvezza, per la quale si diventa membri della Chiesa.

   La questione della compatibilità o meno tra Chiesa e legge è accettabile per la mente di un teologo protestante, che può permettersi di guardare alla tradizione della Chiesa come a una storia di deviazioni dall’insegnamento evangelico originale; per noi ortodossi, invece, la tradizione ha un’autorità incondizionata, e comprende le norme degli Apostoli, dei Concili ecumenici e locali e dei Santi Padri. Non c’è alcuna base ragionevole per dubitare della natura giuridica di queste regole.

In Europa occidentale e centrale, il diritto canonico si sviluppò particolarmente bene sotto l’influenza della “rivoluzione papale” e si evolse in un sistema indipendente ed efficace di diritto medievale.

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